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«L’anima della penitenza cristiana è l’amore»

Nella prima domenica della Quaresima ambrosiana pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, che alle 17.30 presiede in Duomo la Santa Messa col gesto penitenziale dell’Imposizione delle ceneri.

La Quaresima è il tempo favorevole per la conversione, il cambiamento profondo del nostro io. Perché? Ci risponde una bella preghiera della liturgia ambrosiana di questa prima Domenica di Quaresima: «Perché possa giungere in novità di vita alla gioia della Pasqua». Anche quest’anno la Chiesa nostra Madre ci offre quaranta giorni di cammino per la rigenerazione profonda del nostro io.

La penitenza, o il digiuno cristiano, non è prevalentemente una posizione “negativa”, che si attua per sottrazione. Essa è una posizione “positiva”, che non si attua nella logica del negare, ma del donare. L’anima della penitenza cristiana è l’amore. Un amore che libera, non un possesso che asserve. La strada per riprendere coscienza fino in fondo del nostro essere figli.

All’inizio di questo cammino troviamo infatti il Padre che ci chiama. Dio non si rassegna alla separazione dai suoi figli – e tutti noi sappiamo per esperienza quanto il peccato ci separi da Dio e dai fratelli! –, ma per poterli riabbracciare ci ha donato Suo Figlio Gesù, che muore in Croce per ogni uomo, senza alcuna eccezione. All’inizio del nostro cammino quaresimale, paradigma del cammino dell’umana esistenza, poniamoci di fronte allo struggimento d’amore del Padre per ciascuno di noi.

Il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto ci aiuta a rendercene veramente conto. Il tentatore fa di tutto per separare Gesù dal Padre. Il diavolo, infatti, non mette alla prova tanto le virtù di Gesù, quanto la Sua relazione filiale con il Padre, nell’amore dello Spirito Santo. Egli cerca di avvelenare, con il sospetto, il rapporto costitutivo della Sua persona. Per questo introduce ogni tentazione con le parole: «Se tu sei figlio di Dio» (Mt 4,3 e 6). Così succede anche nella nostra vita. Il nostro male, le nostre fragilità ed errori, non nascondono forse sempre il rifiuto di riconoscerci figli? Inseguiamo l’illusione di poter fare a meno del Padre che ci vuol bene e ci chiama, come se la nostra felicità fosse l’esito di un nostro progetto e delle nostre forze e non un dono permanentemente elargito da Colui che sempre ci precede ed abbraccia la nostra libertà.

Eppure il Padre conosce la nostra fragilità di creature (ce lo ricorda il gesto dell’imposizione delle ceneri), ma anche la nostra grandezza. Il poeta francese Charles Péguy ha parole bellissime per descrivere il cuore del Padre che ci vuole figli e liberi: «Ora io sono loro padre, dice Dio, e conosco la condizione dell’uomo. Tutte le sottomissioni di schiavi del mondo non valgono un bello sguardo d’uomo libero… Per ottenere questa libertà, questa gratuità ho sacrificato tutto… Per insegnargli la libertà» (Il Mistero dei Santi Innocenti).

Prepariamo la visita del Papa con questa libertà filiale, desiderosi di godere fino in fondo della sua testimonianza.